“Sulla sterilità di coppia gravita tutto il peso d’informazioni sbagliate, di teorie non corrette, d’idee empiriche che vengono generalmente passate dalle persone che si conoscono, informazioni che, solo per avere la caratteristica d’essere molto diffuse, divengono conseguentemente credibili”
(da “ La sterilità Femminile” C. Flamigni, C. Bulletti, A. Albonetti ed E. Giacomucci _ La Nuova Italia Scientifica- Roma 1997).

Molte coppie, ad esempio sono convinte che la loro difficoltà ad avere figli dipenda dal fatto che lei, subito dopo il rapporto, perda dalla vagina molto, forse tutto il seme di lui.
Un’altra cosa sulla quale esistono informazioni assolutamente “discordanti” riguarda la probabilità di avere un bambino dopo avere avuto rapporti non protetti nel giorno dell’ovulazione. Quando si chiede alle coppie, soprattutto dopo averle viste sorprese e deluse nell’apprendere la bassa percentuale di successo delle fecondazioni assistite, si sente generalmente rispondere con cifre mai inferiori all’80% (ma più spesso superiori al 90%); in verità, le probabilità maggiori spettano di diritto alle coppie giovanissime (20 anni entrambi) e non superano il 25-28%.

Vi sono poi molte nozioni e credenze che attingono da metodologie del tutto (e solo) empiriche.
E’ per esempio ancora in piedi, in alcune aree del nostro Paese, l’abitudine di inserire nella cervice uterina un tubetto di metallo (tubetto di Petit-Lafour) che dovrebbe migliorare la pervietà del canale cervicale ed aumentare le probabilità di gravidanza. Oltre tutto, non si tratta di una cosa di poco conto, perché richiede un ricovero di 5-6 giorni, tutti tra l’altro trascorsi a letto, e tenuto conto del fatto che l’inserimento del tubetto avviene con una manovra minimamente traumatica. Il tubetto di Petit- Lafour, del quale nessuno ha mai dimostrato la benché minima utilità, e che era stato proposto per ragioni completamente diverse ( avrebbe dovuto stimolare un ipotetico centro dell’ovulazione che s’immaginava collocato da qualche parte del canale cervicale), è tra l’altro esposto in qualche museo di medicina, prova palpabile dell’ingegnosità e dell’ingenuità dei nostri antenati.

La sterilità viene generalmente definita come l’incapacità di una coppia di concepire dopo aver trascorso un certo periodo di tempo avendo rapporti sessuali di normale frequenza e senza usare alcun tipo di contraccezione. In questa definizione mancano due dati importanti: il primo, la durata di questo periodo di tempo; il secondo, la giusta frequenza di rapporti sessuali necessari per avere le migliori probabilità statistiche di concepire.
A dire il vero non è corretto stabilire un periodo di tempo unico per tutte le coppie, essendo invece molto più giusto stabilire tempi diversi a seconda della loro età. Le ragazze possiedono la massima fertilità tra i 20 e i 24 anni, con un primo brusco declino dopo i 30 e un calo veramente importante dopo i 40.
Per gli uomini, l’età migliore è intorno ai 25, con una prima significativa riduzione della fertilità ( dovuta a una minore mobilità degli spermatozoi) intorno ai 40 anni. Ciò significa, in linea di principio, che si dovranno stabilire tempi diversi per classe d’età.

Il concetto di sterilità non è un concetto assoluto, ma solo relativo.
Se, per stabilire l’esistenza della condizione di “coppia Sterile” ci si basa solo su un dato numerico- il numero dei cicli in cui è stata cercata la gravidanza- si scoprirà che una certa percentuale di queste coppie, seguite per un certo numero di anni, riesce comunque a concepire spontaneamente. Quindi, in questa prima valutazione, è stato volontariamente accettato di considerare insieme le coppie sterili e le coppie ipofertili, cioè quelle coppie che hanno una diminuzione statistica rilevante della loro capacità potenziale di dare inizio ad una gravidanza. Concetto relativo: perché se la percentuale di gravidanze per ciclo mestruale di una ragazza di 20 anni è pari al 10%, si deve  dedurre che quella ragazza è ipofertile; ma se quel 10% riguarda una ragazza di 40 anni, ebbene quella è la sua fertilità naturale.
Da questo discorso, si possono trarre alcune conclusioni.
La prima è che, essendo la riproduzione umana un processo poco efficiente, ci vuol tempo per iniziare una gravidanza. Le coppie dovrebbero essere informate che le probabilità di concepire, rinviando la ricerca dei figli agli anni più avanzati della vita fertile di una donna, calano in modo sensibile, perché la fertilità è diminuita e il tempo per cercare una gravidanza è ridotto. La seconda conclusione è che bisogna evitare di essere, su questi temi, troppo schematici. Possiamo considerare una ragazza di 20 anni sterile dopo un anno di tentativi non fruttuosi, ma è probabilmente corretto dirle di aspettare altri 6 mesi (o più) prima di sottoporla agli esami; si può ritenere sterile una donna di 40 anni dopo 18 mesi di rapporti non protetti, ma sarebbe più saggio se cominciasse a sottoporsi ai controlli necessari dopo soli 12 mesi.
Il secondo numero che manca nella definizione di sterilità è quello relativo ai rapporti sessuali. Anche qui, esistono dati della letteratura che stabiliscono come “ideali” tre rapporti alla settimana e che riferiscono come un solo rapporto settimanale riduca del 50% le probabilità di gravidanza per ciclo mestruale. Non si ottengono invece apparenti vantaggi aumentando la frequenza dei rapporti, così che il miglior consiglio che si può dare alle coppie è di avere rapporti a giorni alterni nel periodo della presunta ovulazione: tra le altre cose questa “accettabile” frequenza evita di trasformare la vita sessuale in un “lavoro” vero e proprio, con tutte le conseguenze negative che ne derivano.

La frequenza reale della sterilità è uno dei massimi misteri del mondo dell’epidemiologia. Ad esempio, le Nazioni Unite affermano che, in Italia, la percentuale di coppie che ha problemi di sterilità è di circa il 5%, mentre su tutti i libri di testo e in tutte le pubblicazioni italiane sull’argomento si parla del 15 se non del 20%. La verità è che, in Italia, nessuno si è mai veramente posto questo problema e che i dati possono solo essere desunti da quanto si sa a proposito di altri Paesi che si ritengono simili al nostro. Comunque, quasi tutti i ginecologi dicono che le coppie sterili in Italia rappresentano il 15% di quelle che cercano figli.
Ma la sterilità può essere considerata una malattia? In effetti, la sterilità è assai raramente determinata da una malattia in atto, mentre è spesso la conseguenza di un evento patologico ormai scomparso: c’è stata, ad esempio, un’infezione pelvica, le tube si sono chiuse, l’infezione è guarita, ma la donna, ora, è sterile.
Ebbene, per molte persone la sterilità non dovrebbe mai essere definita, per se, una malattia: si tratterebbe, semmai, di una condizione psico-sociale sfavorevole, alla quale non si dovrebbe attribuire lo statuto di malattia vera.
Questa posizione sembra molto difficile da sostenere, perché ignora una delle principali caratteristiche della “condizione di sterilità”, che è rappresentata dalla sofferenza.
Sia il dolore psicologico che quello fisico fanno parte della malattia, sono malattia, e perciò hanno diritto all’attenzione e alle cure del medico.

Il protocollo delle indagini necessarie in caso di sterilità viene generalmente organizzato in modo da far eseguire gli esami con una progressione che tiene conto della loro complessità, cominciando dagli esami più semplici e terminando con gli esami più complessi.
Un normale protocollo di indagini per la ricerca delle cause di una sterilità di coppia viene generalmente articolato così:

  1. esami del liquido seminale;
  2. indagini sull’ovulatorietà dei cicli e sulla situazione ormonale;
  3. ricerche sulla “sterilità di coppia”;
  4. ricerca di eventuali cause meccaniche di sterilità.

Come è facile arguire, la risposta di questi diversi esami consente di confermare o di escludere l’esistenza di una delle quattro cause fondamentali di sterilità (sterilità maschile; sterilità femminile ormonale; sterilità di coppia; sterilità femminile meccanica), anche se esiste in ogni casistica un certo numero di casi-molto variabile a seconda del tipo di esami impiegati per completare il protocollo di ricerca- definiti come “idiopatici”, perché per essi non è stata trovata alcuna causa apparente.
Nel nostro Paese i dati sono più o meno questi:

  1. sterilità maschile: 35%;
  2. sterilità femminile meccanica: 35%;
  3. sterilità femminile ormonale; 15%;
  4. sterilità di coppia: 5%;
  5. sterilità idiomatica: 10%;

Come si può vedere vi è una elevata frequenza di sterilità femminile da cause meccaniche.
Ciò dipende principalmente dal fatto che l’attività funzionale della tuba è molto sofisticata e complessa e può essere alterata o impedita da aggressioni (soprattutto infiammatorie) apparentemente di scarsa entità o addirittura completamente asintomatiche.
Tenendo conto della straordinaria frequenza della sterilità femminile meccanica e sapendo quanto spesso l’aver dato credito ai risultati di una isterosalpingografia porta ad eseguire ripetute terapie di induzione dell’ovulazione (che,oltre ad essere inutili e pericolose, fanno perdere alla coppia molto tempo prezioso), risulta più utile ed efficace (quando ciò e possibile) non eseguire più isterosalpingografie e di proporre a tutte le pazienti, come parte del normale protocollo diagnostico, una laparoscopia e un’isteroscopia.

La laparoscopia, o meglio una laparoscopia, è un intervento diagnostico (che può diventare operativo, in caso di necessità) che si esegue in anestesia generale e che richiede un breve ricovero, la cui durata dipende quasi esclusivamente da come il servizio chirurgico è riuscito ad organizzarsi (quindi da un minimo di alcune ore, ad un massimo di due giorni).
E’ importante rilevare come la sterilità inspiegata varia nelle differenti casistiche dal 5 al 20%.
Risulta interessante rilevare che la percentuale di casi di sterilità inspiegata idiopatica diminuisce se si eseguono indagini più sofisticate sulla fertilità meccanica ad esempio, sostituendo l’isterosalpingografia con la laparoscopia e insistendo nella valutazione dei problemi immunologici e di penetrazione spermatica.